di Francesco Aquilano
L’Unione Europea è ad oggi uno dei più grandiosi progetti politici mai eseguiti. Nasce idealmente il 9 maggio 1950, con la celebre Dichiarazione Schuman, a seguito dei disastrosi eventi della seconda guerra mondiale, che sommati a quelli della prima, resero chiara l’impossibilità di un rapporto pacifico all’interno del vecchio continente. Il giudizio a suo riguardo è sempre stato molto polarizzante. Storicamente, tra i maggiori nemici del progetto europeo ci sono stati prima i liberali di destra, e poi i populisti, che ad oggi sembrano non arrestare la loro marcia verso il potere e la débâcle del sogno comunitario. Dopo aver vissuto un momento di relativo splendore, che ha portato all’adozione della moneta unica nel 1999, l’Europa, oggi, sembra vivere una crisi che ha spinto già molti addetti ai lavori a pronosticare una sua sempre più prossima dissoluzione.
Sulle vittorie, le sconfitte, i momenti felici e tristi della storia dell’Integrazione europea avremmo di che scrivere per giornate intere, ma a noi interessa analizzare la situazione corrente, per questo mi focalizzerò su tre avvenimenti recenti, che a mio modesto parere, hanno destabilizzato l’equilibrio dell’Unione e peggiorato la sua posizione: la “Brexit“, la scarsa garanzia di democrazia all’interno di alcuni paesi membri, e la querelle riguardo gli aiuti economici a seguito del Coronavirus.

La prima importante sbandata è stata causata dall’uscita del Regno Unito, che rappresentava il secondo più importante contribuente alle casse UE (dopo la Germania), ed aggiungeva un considerevole apporto in termini di peso politico che sommato all’importante ruolo di legittimazione dell’intero progetto, facevano di Londra un partner di primissimo livello. C’è da dire che il Regno Unito non ha mai partecipato con grande entusiasmo al progetto Europeo, entrando a farne parte ufficialmente solo il 1° Gennaio 1973, dopo aver provato a creare, con scarso successo, un organo politico parallelo, e chiedendo già pochi mesi dopo l’adesione, una revisione degli accordi. Tralasciando il clima politico/sociale e le possibili osservazioni a riguardo, l’uscita del Regno Unito non ha fatto altro che rinvigorire gli euro-scettici, in particolare i sovranisti, che sentendosi legittimati da una presa di posizione così drastica da parte di un paese molto rispettato nell’immaginario comune, hanno ulteriormente rafforzato la propria propaganda anti-UE. Oggi i britannici sono il simbolo più puro dell’euro-scetticismo dilagante e potrebbero innescare il famoso “effetto domino” teorizzato da Henry Kissinger, che seppur riferendosi ad un contesto diverso, sottolineava la grande influenza di ogni singola parte all’interno di un sistema; un sistema in cui il venire meno di un singolo pezzo può portare alla caduta di tutti gli altri.

La seconda sconfitta dell’Unione Europea è frutto della scarsa applicazione di principi democratici in alcuni paesi membri. Democrazia ed Uguaglianza sono i principali obiettivi che l’Unione ha perseguito sin dalla sua nascita, e sicuramente avere dei membri che li violano sistematicamente rappresenta un’ulteriore stoccata alla credibilità del progetto. In prima fila, tra i paesi che mettono a rischio il processo democratico, c’è l’Ungheria di Viktor Orbán, fondamentale pedina all’interno dello scacchiere sovranista internazionale, che ormai da decenni calpesta la costituzione del suo paese e quella Europea. L’autoritarismo di Orbán ha raggiunto il suo picco poche settimane fa, quando è riuscito ad ottenere dal suo parlamento la possibilità di deliberare per decreti con una modifica del codice penale, giustificando tale imposizione dallo “stato di pericolo” derivante dal dilagare del Covid-19. L’unica reazione dell’Unione Europea è stato un timido richiamo effettuato dal presidente della commissione parlamentare per le libertà civili, Juan Fernando Lopez Aguilar, che non ha riscontrato particolare successo. In sintesi, il primo ministro ungherese ha ottenuto l’estensione dei propri poteri senza che l’Europa battesse ciglio. Dunque, siamo costretti ad aspettare speranzosi la fine dell’emergenza sanitaria con l’auspicio che in Ungheria si possa tornare quantomeno a rispettare, seppur precariamente, la democrazia.
Un’altra nazione sul piede di guerra è la Polonia, saldamente governata da Andrzej Duda, che è sostenuto dal partito di estrema destra Pis, alleato in Europa di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Il primo ministro uscente era senza dubbio il favorito alle elezioni previste per il 10 Maggio, che sono state posticipate causa Coronavirus. In queste settimane Duda ha fatto parlare molto di se a seguito della bislacca proposta di svolgere ugualmente le elezioni per posta, richiesta che fa intendere molto riguardo il personaggio di cui stiamo parlando. La nostra unica certezza è che Duda e il Pis verranno rieletti al parlamento polacco consolidando un’altra base sovranista ed anti-europeista nell’Est Europa.
Inoltre, Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca (un’altra nazione su cui riserbo alcuni dubbi) nel 2015 avevano violato l’obbligo di accettare il numero proporzionale di migrati, che venne ripartito in tutti i membri dell’Unione Europea, per alleggerire il peso dei flussi migratori che gravava interamente su Italia e Grecia. Anche in questo caso l’UE ha timidamente ammonito i tre paesi, che ancora oggi restano impuniti per le reiterate violazioni degli accordi. L’Europa, come questi casi chiaramente esplicano, dimostra scarsa decisione nei confronti dei paesi che non rispettano gli accordi, continuando a perdere di credibilità. Inoltre, anche nel caso in cui l’UE decidesse di applicare un comportamento più deciso, al momento, dopo l’uscita del Regno Unito, non si potrebbe permettere di perdere altri pezzi importanti.

L’ultima questione, non per importanza, riguarda la bagarre che si è venuta a creare nelle ultime settimane riguardo gli interventi economici a favore delle economie fortemente indebolite dal blocco causato dal Coronavirus. In generale, si è riaperta la solita spaccatura tra i paesi del Sud Europa e quelli del Nord Europa, che hanno ricalcato i soliti pregiudizi nei confronti dell’instabilità politica ed economica dell’area mediterranea. Non mi soffermerò sulla diatriba economica, né tantomeno sul Mes e gli Eurobond, ma voglio sottolineare un’importante questione che riguarda la difficoltà di raggiungere delle risoluzioni, anche in periodi di urgenza come questo. A mio avviso uno dei più grandi problemi dell’Unione Europea, che è insito nella costituzione comunitaria, riguarda il sistema elettorale ed il modo di propagandare dei parlamentari.Tralasciando la discussione molto tecnica riguardo la composizione ed il ruolo del parlamento europeo, voglio soffermarmi sulla totale inconsistenza dell’ideale di unione e comunità. Sono convinto che fino a quando i parlamentari europei verranno eletti nelle proprie nazioni, non ci sarà mai la possibilità di creare un ideale comune di giustizia e progresso, perché i singoli deputati difficilmente sarebbero disposti a perdere il proprio consenso nazionale, ad esempio difendendo una nazione straniera, anche se questa avesse ragione.
L’esempio evidente ci viene fornito dalle difficoltà degli ultimi giorni; un deputato olandese non potrà mai schierarsi apertamente con l’Italia o con la Spagna, anche qualora avessero ragione, perché in una successiva tornata elettorale avrebbe poche speranze di essere riconfermato. L’unico risultato di questo malsano sistema è che non ci sarà mai un’unione completa, in quanto gli interessi nazionali prevarranno sempre su quelli comunitari.